Kamir Mokamel, il Bansky afghano

Kamir Mokamel non fa certo mistero della ispirazione che trae dalle opere di Bansky, probabilmente il più famoso street artist al mondo.
C’è bisogno di arte in Afghanistan.

“L’arte qui a Kabul è una cosa nuova, pertanto dobbiamo educare il pubblico al suo alfabeto, prima di poter andare avanti”
Ha così raccontato in un’intervista alla Cnn.

Le sue tele preferite sono le mura-sempre più alte, più spesse e imponenti- che circondano la capitale afghana, ma anche edifici spolpati e abbandonati riportati a una nuova vita grazie alla forza dei suoi colori. I suoi murales si fanno ora denuncia, ora speranza, in un paese sconvolto da oppressione e corruzione pluridecennali.

Resistenza culturale pura, direbbe qualcuno.

Kabir Mokamel ha 40 anni, è nato in Afghanistan ma risiede in Australia dal 2010.
Il suo primo graffito ritrae due grandi occhi femminili liberi dal nero del burqa.
Si legge: “Ho visto la vostra corruzione che non è nascosta agli occhi di Dio, benché voi cerchiate di nasconderla alla gente”.

Tra gli altri graffiti più celebri ci sono un cuore trasportato da una carriola e la cartina dell’Afghanistan coperta da un grande cerotto, come a voler rappresentare un Paese in ginocchio, ma fortemente intenzionato a rialzarsi.

Mokamel dimostra grande attenzione ai dettagli: un grilletto che spara un arco colorato nel cielo, spazzini che trasportano grandi cuori rossi dentro ai loro carrelli.

Qualche anno fa ha ha creato Arts Lord, i signori dell’arte, un gruppo di artisti in aperto contrasto con i talebani, auto-proclamatisi signori della guerra.
I protagonisti raffigurati nei suoi murales spesso sono eroi di tutti i giorni: netturbini dentro la loro tuta arancione, soldati feriti dai talebani, innocenti uccisi in attacchi suicidi.

“Nei punti in cui queste vittime sono state uccise, realizzeremo dei dipinti per ricordarle affinché non siano solo numeri”.

Spesso poi a contribuire alla realizzazione delle sue opere sono passanti, agenti di polizia e venditori ambulanti.

“Si tratta di un modo per le persone di recuperare lo spazio pubblico”

Ha precisato l’artista.

“Ogni volta che qualcuno si fermerà ad ammirare uno dei nostri graffiti, ogni fatica sarà ripagata, anche se dobbiamo costantemente vivere nel timore di ritorsioni da parte dei talebani”.

L’arte non risolve, è vero, ma guarisce.

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